Cuculetto il brigante di Penne

L’ARRESTO DI CUCULETTO

Se l’appostamento teso a Cuculetto dagli agenti della Pubblica Sicurezza in contrada Campetto, in casa di Tommaso Toppeta, non portò alla sua cattura, quello messo in atto dai Reali Carabinieri la stessa notte del sette Dicembre 1873, nella masseria di Vincenzo Delle Monache in località Vallescuro, andò a buon fine.

Ecco il testo del verbale della "brillante operazione”:
 “Oggetto: Processo verbale d’arresto dell’evaso D’Angelo Emidio.
L’anno del Signore mille ottocento settantatre, il giorno sette del mese di Dicembre, verso le ore otto pomeridiane in contrada Valle Scuro, tenimento del Comune di Penne.
Noi sottoscritti Pizzolato Angelo, Bontempi Domenico, Quaglia Raffaele, e Provasi Baldassarre, tutti quattro Carabinieri a piedi della descritta Stazione vestiti in abito borghese, dichiariamo a chi di spettanza che nel fare una perlustrazione nel luogo sopraindicato in traccia del nominato D’Angelo Emidio, di Tommaso, di anni 29, contadino di questo Comune, evaso dal Bagno Penale di Gaeta il 19 Ottobre 1873, riportato al N° 2998, nota 45 dei catturandi anno corrente, siamo venuti a conoscenza che il medesimo era solito di andare a trattenersi di nottetempo in una piccola masseria in detta contrada del Signor Perrotti Massimo, fu Raffaele, di anni 30, proprietario di questo Comune, abitata dal colono Delle Monache Vincenzo, fu Giuseppe, contadino di anni 53, di questo Comune, per cui ci siamo portati in agguato nella stessa, ed infatti, verso le ore 8 pomeridiane del giorno suddetto il D’Angelo Emidio, zitto, zitto si presentava alla porta della masseria, armato di fucile carico  a due canne e di un revolver pure carico a sei colpi, e dopo di avere bussato alla porta per ben tre volte e di avere risposto al colono essere Emidio D’Angelo, gli apriva la porta e vedutosi nell’agguato tesogli da noi militari, spianò il fucile e sparò un colpo che non colpì alcuni, così contemporaneamente Noi Pizzolato Angelo, gli abbiamo esploso un colpo di carabina che colpimmo il malfattore nella coscia destra causandogli una ferita con qualche spargimento di sangue, quindi gli fummo tutti sopra, ma più prontamente Noi Pizzolato Angelo, e Bontempi Domenico, e così fra tutti insieme ne abbiamo operato il di lui arresto col sequestro delle due armi sopraindicate, i N° 9 colpi da revolver, una piccola fiaschetta di legno contenente polvere da sparo, e N° 6 capsule da fucile sigillando il tutto con cera lacca rossa colle iniziali B. G., nonché di due anelli ed un orecchino.
Di quanto sopra ne abbiamo compilato il presente atto verbale per essere coll’arrestato ed oggetti presentato al Signor Pretore di questo Mandamento pel voluto procedimento, e copia rimessa ai nostri Signori Superiori.
Fatto chiuso, e sottoscritto in Penne, il giorno, mese ed anno, come sopra”.

Nonostante fosse ferito, per Cuculetto, immediatamente dopo l’arresto, cominciarono gli interrogatori.
“Sono Emidio D’Angelo detto Cuculetto, di Tommaso, di anni 29, contadino di Penne, impossidente, so leggere e scrivere, non ho fatto il militare, sono stato condannato a venti anni di lavori forzati per omicidio in persona di certo Tenente, ed evaso dal bagno di Gaeta il venti Ottobre ultimo.
Sono fuggito insieme al compagno di pena Andrea Ursi di S. Gregorio Magno, eludendo la sorveglianza dei guardiani mentre stavamo ai lavori della strada del Camposanto, nella contrada denominata Montesecco.
Siamo giunti a Penne dopo dieci giorni di viaggio senza toccare il territorio di Catignano e di Vestea. L’Ursi è rimasto con me otto o nove giorni, ed è partito come egli diceva per il Salernitano, a trovare la famiglia, facendo ritorno nello spazio di dieci giorni. Se è vero quello che egli racconta, ha viaggiato per la ferrovia. Arrivò qui se non m’inganno, il diciannove o il venti Novembre, e rimase sempre meco a Penne fino a ieri notte quando fui arrestato.
Durante tutto questo tempo abbiamo scorrazzato la campagna di Penne, di Montebello, e di Loreto, accostandoci alle masserie sol quando avevamo bisogno di chiedere qualche cosa da mangiare, e riparando la notte, e qualche volta anche il giorno, nelle pagliaie che incontravo nelle contrade, senza tenere mai un punto fisso.
L’Ursi fin dai primi giorni del nostro arrivo a Penne si era armato non so come, di un fucile ad una canna, ed in seguito ne aveva avuto uno a doppietta, che parimenti ignoro dove l’abbia presa.
Dopo la metà di Novembre egli commise una grassazione, depredando un individuo sulla strada per Catignano di un fucile a due canne e di una borsa da caccia, e diede tanto l’arma che la borsa a me perché egli non ne abbisognava.
Credo non abbia commesso altri reati, io ho sempre vissuto di carità, senza fare alcun male.
Ieri sera insieme all’Ursi mi portai alla masseria di Vincenzo Delle Monache, di proprietà del defunto Canonico Simone Perrotti per avere qualche cosa da mangiare come mi era stato promesso giorni prima. Ursi rimase in disparte sotto le querce. Io bussai alla porta, e non appena il contadino ebbe aperto partirono quattro Carabinieri travestiti, uno dei quali, e non so dire chi, mi ferì in una gamba con un colpo di fucile. Nel cadere a terra una delle canne del mio fucile si esplose, ma io non ho fatto alcuna resistenza ai Reali Carabinieri.
Non ci è stata persona che mi abbia dato ricovero in sua casa o favorito altrimenti, che colla elemosina di un tozzo di pane.
Il revolver di cui ero armato me lo regalò un signore di Penne che non conosco.
In altri separati interrogatorii mi sono già difeso dai varii addebiti che mi si fanno.
Riguardo alle armi ho già indicato come le ebbi, e non ho nulla a variare o ad aggiungere. Stili non ne ho mai posseduti.
Dettagli che si hanno motivi per ritenere che Andrea Ursi sia rimpatriato da molto tempo, e che altri deve quindi essere il compagno che mi ha fatto parola, e che vuole fosse con lui anche ieri sera.
Ripeto che l’Ursi fu assente da Penne non più di dieci giorni, ed è tornato circa il venti di Novembre senza più allontanarsi. Ieri sera li hanno veduto meco i lavoranti della conceria di Domenico Cantagallo, che son quattro fratelli nominati Fruscione. Mi sono portato là a ventiquattro ore per cercarvi Rosario Cantagallo e domandargli il motivo pel quale giorni dietro alla discesa di Fiorano, tenimento di Loreto, mi tirò contro un colpo di fucile, cui non ho mancato di rispondere, ma non ce l’ho trovato. Se il mio compagno fosse un Pennese i Fruscioni lo avrebbero riconosciuto.
Gli ori che mi avete trovato addosso al momento dell’arresto li ho comperati in Penne alla bottega di Gaetano De Paschinis per trentaquattro carlini. Denaro che portai dal bagno.
Gli anelli e quest’orecchino che mi mostrate sono miei.
Anche le armi sono mie. Le cariche del revolver le ebbi da quello stesso che me lo ha regalato”.

Il medico Nicola Di Tonno, ancora una volta rientrò in campo. Questa volta per visitare in carcere il D’Angelo ferito. Così scrisse nel suo referto:
“Quest’uomo presenta una ferita d’arma da fuoco penetrante nel terzo inferiore della coscia destra. La palla di fucile da guerra è entrata dalle parte esterna della coscia ed è sortita dalla parte interna, attraversando i muscoli senza toccare l’osso. Per conseguenza la ferita esterna presenta un orificio più largo e sfrangiata della interna. Tale lesione è stata prodotta da meno di un giorno, ed è guaribile in venticinque o trenta giorni, senza lasciare superstiti difetti, salvo incidenti.
In tutto il resto del corpo non si riscontrano tracce di violenza”.

In merito alle sue malefatte, per Cuculetto seguirono altri interrogatori da parte del Giudice del Tribunale di Teramo:

Per l’aggressione al guardaboschi.
“Sono Emidio D’Angelo, detto Cuculo, di Tommaso, di anni 29, contadino di Penne, impossidente, so leggere e scrivere (NdR - lo aveva imparato durante il periodo di reclusione nel carcere di Gaeta), non ho fatto il militare, sono stato condannato a venti anni di lavori forzati per omicidio in persona di certo Tenente, ed evasi dal bagno di Gaeta il venti Ottobre ultimo.
Nel dì 29 Ottobre ultimo io stiedi a Pescara, ed in quella notte mi ricoverai nelle pianure di quel tenimento. Quel giorno fu il primo che io entrai negli Abruzzi, e nel seguente mattino del trenta m’incamminai per Penne battendo la strada di Collecorvino. Ciò posto è impossibile che io abbia commesso la grassazione in danno di Errico Frattaroli presso Catignano.
Venne con me in Penne il compagno di sventura Andrea Ursi della provincia di Salerno. Dopo alquanti giorni volle dirigersi in patria, d’onde fece ritorno presso di me verso la metà di novembre, e mi regalò il fucile a due colpi e la borsa da caccia, di cui ho parlato nell’interrogatorio che resi al Pretore di Penne nel dì otto del corrente mese.
Io non dissi al Pretore di Penne che il fucile e la borsa regalatami da Ursi erano stati da costui depredati ad un individuo sulla strada di Catignano, ma dissi invece come ora ho dichiarato a voi. Sarà quindi un equivoco di quel Magistrato, che ha compreso ed ha fatto scrivere una cosa per un’altra.
Previa lettura e conferma, si è sottoscritto”

Per l’aggressione al fattore del Duca Gaudiosi.
“Non è vero che il giorno sedici scorso Novembre sulla strada per Catignano, sotto il Camposanto io abbia aggredito Pasquale Beati fattore del Duca Gaudiosi, persona a me sconosciuta, e che lo abbia depredato di un fucile a due canne, di una borsa di pelle per caccia e di due fiaschette, minacciandolo collo stile alla mano. E’ tanto falso l’addebito che io proprio non ho tenuto mai un’arma simile, ed infatti quando fui arrestato, mi si trovò soltanto il fucile ed il revolver, e nessuna borsa da caccia.
Il fatto io lo inteso raccontare, e me ne dispiacqui col mio compagno Andrea Ursi, perché mi venne subito l’idea di una grassazione da lui commessa con tanta imprudenza di pieno giorno, ben sapendo che il pubblico avrebbe designato me come paesano, e non lui quale autore del fatto. Egli non me lo negò, e mi fece regalo del fucile a due canne tolto all’aggresso, perché egli né teneva già un altro, di cui si era munito non so come, dopo il suo arrivo a Penne.
Il giorno della grassazione mi trovavo a Montebello dove mi ero portato già dal giorno innanzi.
Non lo posso dimostrare.
L’Andrea Ursi col fucile mi ha regalato anche una borsa di pelle di uguale derivazione che perdei un giorno che venni inseguito dai Reali Carabinieri. Ci stavano alcuni sigari, pochi soldi, del pane, dei fichi, ed un portafogli.
Ho detto che non sapevo scrivere ma non è vero, perché ho imparato al bagno.
Siccome da un contadino che conosco solo di vista avevo risaputo che Arnoldo Guglielmi s’interessava di sapere chi mi aveva dato una camicia, gli scrissi due righe sopra un foglietto, e glielo mandai per un tale soprannominato Sciabolone, ma ciò fu due o tre giorni prima della grassazione in discorso, sotto il ponte di S. Antonio.
Non conosco Fabiano Solaro, Donatantonio D’Addazio, e Luigi Costantini. Del Sciabolone ho solo una lontana conoscenza”.

Per il sequestro dell’Arciprete.
“Io non ho fatto alcun male al Canonico Simone Perrotti, che ben conoscevo per essere mio paesano. E’ falso che insieme al mio compagno Andrea Ursi, evaso con me da Gaeta, abbia sequestrato il detto Canonico sullo stradale per Loreto, la sera del quattro scorso Novembre, e condottolo in una capanna della contrada Marzengo, si abbia estorta la somma di lire mille e duecento. Non ho testimoni da assegnare a discarico.
Non conosco Pasquale Zicola e la sua famiglia, né Antonio D’Addazio e Vincenzo Ruscitti, che mi dite abitare al Colle della Stella ed al Marzengo, luoghi nei quali non mi sono aggirato mai.
Il quattro di Novembre, ed anche dopo per più giorni, l’Andrea Ursi fu sempre con me, si è poscia allontanato per recarsi nel paese suo, ed ha fatto ritorno da diciassette diciotto giorni. Batte la campagna tenendosi nascosto.
Con mio fratello Carlo mi sono trovato una sola volta sulle porte di Penne, il secondo giorno del mio arrivo, e non l’ho visto più. Non ho dato denaro, né altro, sia a lui che al resto della mia famiglia”.

Per l’assassinio dell’Arciprete.
“Ho sentito dire che il Canonico Simone Perrotti fu ucciso la mattina del venticinque scorso Novembre nel fosso Serpacchio. Io non ho avuto alcun male da lui, né quindi avevo ragione di fargliene io. In quel giorno sono stato sempre nella contrada Teto, ben lungi dal fosso Serpacchio.
Non conosco i nominatimi Antonio Barbacane fu Matteo, Donato Mellone fu Berardino e Giuseppe Toppeta fu Antonio.
Non ho mai posseduto uno stile od altra arma simile.
Non ho testimoni a mia discolpa”.

Per il conflitto a fuoco di Fiorano.
“Non posso tacervi che nel dì quattro dicembre ultimo, mentre io transitavo per la strada nuova in vicinanza della Madonna di Fiorano, mi imbattei con una carrozza. All’avvicinarsi della medesima, uno dei passeggeri spianò contro me un fucile a due canne, ed esplose un colpo. Di che trovo aperto l’ombrello per ripararmi dalla pioggia, con la mano che teneva libera, trassi dalla tasca una pistola, la scaricai verso il mio aggressore e mi posi in fuga. Non so comprendere ora, come per questo fatto mi si attribuisca un altro reato, oltre quello di una tentata grassazione. Il carrozziere potrà giustificarmi”.

Quello di Fiorano per Cuculetto rappresentò l’epilogo degli eventi delittuosi messi a segno nella sua carriera criminale. L’essere stato preso a fucilate fu da lui considerato un vero affronto da “chiarire” subito con le sue vittime pennesi. Una sera infatti si presentò presso la Conceria Cantagallo per chiedere la ragione del comportamento del giovane titolare Rosario.
In merito a questo fatto, il Pretore di Penne raccolse la seguente testimonianza:
“Sono Salvatore de Bonis, di Antonio di anni 26, conciatore di cuoiami di Penne.
Io ed i miei fratelli Emidio, Francesco, e Camillo lavoriamo alla conceria di Rosario Cantagallo. La sera del sette andante mese, giungemmo colà circa mezz’ora di notte, e stavamo per aprire quando vedemmo due persone armate di fucili a due canne passarci dinanzi. Una di essi retrocedette e disse noi che voleva parlare col padrone e chiedergli scusa dapoicchè l’aveva aggredito alla salita di Fiorano, e ne era dispiaciuto avendo risaputo che non era vero come gli si era dato ad intendere che il Rosario gli dava la caccia unitamente ai Carabinieri. Fattogli prima deporre il fucile, lo abbiamo lasciato avvicinare, ed in questo discorso ci siamo trattenuti circa un quarto d’ora adoprandoci noi a persuaderlo spiegandogli che il nostro padrone badava ai fatti suoi. All’ultimo disse che sarebbe tornato fra qualche giorno allo stesso scopo di chiedere scusa al predetto nostro padrone. Intanto il suo compagno si teneva in disparte col dorso a noi rivolto e col collare alzato per coprirsi mezzo il volto. Emidio lo chiamò col nome di Pietro, invitandolo ad avvicinarsi, ma quello con voce grossa gli rispose – presto che si fa tardi, - e se ne andarono. Ho detto di sopra che l’individuo col quale noi parlammo era Emidio D’Angelo; lo riconobbi quando ebbi acceso il lume. Il suo compagno era un uomo grosso di spalle, e piuttosto alto. Meglio non so descriverlo perché stava all’oscuro. D’Angelo raccontò che ne erano ventotto con lui, sette del Circondario di Teramo, altri di Loreto e della provincia di Chieti, iattanze alle quali non abbiamo creduto.
Portava un revolver alla cintola, ed un lungo coltello a mollettone che ci fece vedere. Disse che prima teneva uno stile, ma l’aveva lasciato”.

Per la fortuna dei Cantagallo, Cuculetto non potette mantenere la promessa di ripassare dopo qualche giorno perché la sera stessa venne arrestato dai Reali Carabinieri.
E mentre per il bandito si chiudeva la porta dello stesso carcere in cui erano stati in precedenza rinchiusi tutti i suoi familiari, per costoro, si riaprì. Infatti, in data 15 Dicembre 1873, la Camera di  Consiglio presso il Tribunale correzionale di Teramo, si pronunciò come segue:
“Letti gli atti a carico degli imputati di aiuto prestato a rei di crimini; letta la requisitoria del Pubblico Ministero uniforme alla presente ordinanza; udito il rapporto del Giudice Istruttore; poiché per le relazioni di sangue dei sei detenuti in rubrica col latitante Emidio D’Angelo colpito da mandato di cattura per crimine all’epoca del voluto reato, ed ora attenuato, rientrano in quelle previste nell’ultima alinea dell’art. 285 Codice penale; e quindi non vi è luogo ad esercizio di azione penale contro i medesimi; letto l’art. 250 del rito penale; dichiara non darsi luogo a procedimento penale per inesistenza di reato contro tutti e sei rubricati, ed ordina che i medesimi siano posti in libertà”.

Il giorno 11 Dicembre 1873 il Direttore delle Carceri Giudiziarie di Teramo comunicò al Procuratore del Re quanto segue:
“Ieri sera verso le ore  9 e tre quarti veniva eccezionalmente aperto il portone di questo Stabilimento per ricevere, tradotto da buona scorta di Carabinieri, Emidio D’Angelo il quale si dichiarò ferito da archibugio.
Avendo questa mattina al medesimo detenuto passata la visita il Sanitario di questo Stabilimento, ha trovato la lesione organica nella coscia destra, come la S.V. Ill.ma rileverà dall’annesso certificato che il sottoscritto si fa dovere trasmettere per uso di legge”.

“Al Sig. Direttore delle Prigioni di Teramo.
Il Sottoscritto Medico Chirurgo presso queste Prigioni si fa dovere partecipare alla S.V. che nella visita sanitaria del giorno 11 volgente procedeva alla prima medicazione del detenuto a nome D’Angelo Emidio, il quale presentava nel terzo inferiore della coscia destra, parte anteriore, una lesione traumatica consistente in due ferite lacero-contuse, a bordi sfrangiati.
La prima di esse ha sede nella coscia interna ed anteriore della detta regione, a circa otto centimetri dalla corrispondente rotula; offre un diametro di un centimetro ed ha i bordi rivolti all’interno. La seconda sita nella faccia esterna della ripetuta regione, due centimetri al di sopra dell’altezza segnata nello precedente, che 10 centimetri dalla rotula presenta un diametro di circa un centimetro e mezzo con bordi assai sfrangiati e rivolti all’infuori. Fra queste due ferite esiste un canaletto traumatico che le mette in comunicazione, diretto dal basso all’alto e da dentro in fuori, ed interessante lo strato superficiale e profondo dei muscoli della parte anteriore della coscia.
In prossimità delle cennate ferite e lungo il tragitto del canaletto traumatico esiste notevole tumefazione dei tessuti molli con fenomeni infiammatori destati dalla lesione traumatica.
Non è a dubitare che la causa delle predette lesioni sia stata un proiettile esploso da un’arma da fuoco, come fucile o simili, a non molta distanza; il quale penetrando nella ferita esistente nella fascia interna della coscia sortì da quella che vedasi nella esterna producendo il notato canaletto traumatico. Opino che il tempo decorso dal ferimento ad oggi non sia maggiore di quattro a cinque giorni e che la guarigione possa verificarsi fra altri trenta giorni, salvo ulteriori conseguenze morbose. Prigioni di Teramo, 11 Dicembre 1873. Il Medico Chirurgo Pasquale Pirocchi”.

Cuculetto ebbe subito da recriminare per il colpo sparatogli dai Carabinieri durante la concitata fase della sua cattura, tanto che si fece raggiungere in carcere dal Pretore di Teramo al quale volle raccontare la sua versione riguardo al ferimento subito. Questo è quanto risulta a verbale:
“Ci siamo portati in questo col perito sanitario Sig. Pasquale Pirocchi, onde procedere agli atti di regola circa il ferimento riportato da Emidio D’Angelo, e quivi giunti abbiamo rinvenuto il medesimo giacente in letto in una camera addetta ad ospedale. Alla nostra domanda ha risposto. Sono Emidio D’Angelo di Tommaso e Angela Rosa Barbacane, bracciante, di anni 29, nativo di Penne.
Sono evaso dai bagni di Gaeta nel giorno venti Ottobre ultimo, senza fare alcun sfascio, dopodiché il Guardiano mi aveva lasciato libero per un momento, ed io colto quella circostanza propizia, per amore della libertà decisi di darmi in fuga.
Ritornato nelle vicinanze del paese natio, ho sempre girato per quei dintorni, senza nulla commettere in danno delle persone e delle proprietà. Inseguito dalla pubblica forza trovavo tutti i mezzi di ricoverarmi ora in un punto ed ora in un altro. Avvenne che poco tempo addietro acquistai amicizia con un tale Vincenzo Monaco, contadino, dell’età di circa anni quaranta, che abita in campagna, alla contrada in Casale, tenimento di Penne, il quale avendomi andare latitante, mi promise che qualche volta fossi andato a ricoverarmi nella sua abitazione. E difatti, avendolo alla promessa, la sera del sette stante, passate le ore ventiquattro, mi ritiravo nell’abitazione dello Monaco, quando sull’entrare dalla porta sentii due scariche di fucile, una delle quali andò a vuoto, l’altro mi ferì con un proiettile in faccia alla coscia destra, e facendomi cadere a terra. Immediatamente venni assalito da quattro Carabinieri travestiti, i quali mi assalirono, e m’imposero l’arresto.
Io ho distinto i due carabinieri che mi arrestarono, e sono un tale Pizzolato, e Bontempo, sia perché venni sparato a bruciapelo, sia perché gli altri due carabinieri si tenevano appostati alla parte opposta della porta dove io venni ferito, e sia perché il Pizzolato e Bontempo me lo confessarono.
Non intendo finalmente esporre querela contro i feritori, perché considero in fin dei conti che atteso le prevenzioni che ci erano contro di me, l’arma dei Carabinieri si trovava sempre in uno stato di timore, conseguentemente nelle circostanze ricorrevano alle armi.
Non ho testimoni da dare”.

I due Carabinieri furono inquisiti fino a quando la Camera di Consiglio presso il Tribunale correzionale di Teramo si pronunciò nella seguente maniera:
“Letti gli atti a carico di Domenico Bontempo ed Angelo Pizzolato, entrambi Reali Carabinieri residenti in Penne, imputati di ferimento volontario a colpo di arma da fuoco in persona di Emidio D’Angelo; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, uniformi alla presente ordinanza; udito il rapporto del Giudice Istruttore; poiché il Carabiniere Pizzolato ferì il D’Angelo nello stato di legittima difesa; poiché il Carabiniere Bontempo non produsse alcuna ferita al D’Angelo; letto l’art. 250 del rito penale; dichiara di non darsi luogo a provvedimento penale per inesistenza di reato contro i due Carabinieri predetti”.

Al carabiniere a piedi Pizzolato Angelo, nell'udienza del 30 aprile 1874, venne conferita l'onorificenza della Medaglia di Bronzo al Valor Militare "Per essersi distinto nell'arresto di un malfattore", presso la Messeria di Valle Scura (Penne), in data 7 dicembre 1873.

 

 

Google Maps: Contrada Vallescuro, luogo in cui venne arrestato Cuculetto

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