Cuculetto il brigante di Penne

LA SPARATORIA A FIORANO DI LORETO APRUTINO.

Cuculetto, sentendosi il fiato sul collo giacchè le forze dell’ordine lo braccavano sempre più e, privo oramai dell’appoggio dei familiari, per mettere in atto le sue azioni delittuose, si spostò nella vicina Loreto Aprutino. In questo mandamento fu il Pretore a ricevere la seguente denuncia:
“L’anno milleottocentosettantatre, il giorno quattro dicembre in Loreto Aprutino.
Innanzi a Noi Avvocato Oreste Chilazzi Pretore, assistiti dal Vice Cancelliere sottoscritto, sono comparsi volontariamente:

  1. Luigi Fasoli, fu Giovanni, di anni 34, orefice, domiciliato a Chieti;
  2. Domenico Cantagallo, fu Vincenzo, di anni 45, possidente, negoziante domiciliato a Penne;
  3. Rosario Cantagallo, di Domenico di anni 21, negoziante, i quali hanno dichiarato quanto segue.

Questa mattina fra le ore otto e le nove antimeridiane, andavamo in carrozza a Penne condotti dal vetturino della locanda di Chieti e che si chiama Achille Flaviani.Quando fummo giunti alla prima voltata della strada maestra che da Fiorano conduce a Penne, il vetturino ci ha avvisato che sulla sinistra della strada, nascosto dietro un piccolo colle, stava il brigante di Penne chiamato Cuculetto. Ognuno dei tre abbiamo preso le armi che tenevamo, in questo momento, quindi in vicinanza del brigante, questi ha spianato il suo fucile, e gridato - faccia a terra -, e quindi ha sparato contro di noi. Rosario Cantagallo, che era il primo sulla carrozza, ha sparato contro il brigante un colpo di fucile, il brigante ha sparato un’altra volta, e noi parimenti abbiamo sparato contro di lui, in modo che ci sembra di averlo ferito, perché tanto al primo che al secondo colpo sparato dal Cantagallo è caduto, ha traballato e si è rialzato.
Fasoli voleva assaltare il brigante, e per questo ha richiesto il braccio forte al vetturino che si è rifiutato, si è rivolto allora agli altri due compagni, i quali nel dubbio che il brigante potesse essere accompagnato, hanno preso consiglio di ritirarsi ad una masseria poco discosta, appartenente ai Signori Casamarte di Loreto Aprutino.
Abbiamo domandato aiuto ai contadini della masseria di Casamarte, e gli abbiamo domandato ancora polvere, munizione ed armi; essi però, adducendo scuse frivole, si son rifiutati di darci polvere e munizioni e non son voluti venire neppure a chiamare i Carabinieri in Loreto Aprutino.
I contadini sopradetti ci hanno offerto ricovero nella loro casa, ma noi siamo scesi nuovamente sulla strada, ove giunti il Fasoli ed il vetturino hanno perlustrato i dintorni del luogo ove avvenne il conflitto, per assicurarsi se il brigante fosse lì vicino. Accertatisi della di lui assenza, abbiamo osservato che nulla mancava nella carrozza, e quindi abbiamo preso il consiglio di venire qui a Loreto.
Tenevamo con noi un forte capitale in gioie e in denaro, e di questi nulla abbiamo perduto”.

Dopo aver verbalizzato i racconti della parte offesa, il Pretore di Loreto Aprutino interrogò i testimoni, i quali dichiararono quanto segue:
“Sono Antonio de Lellis, fu Silvestro, di anni 47, domiciliato in Loreto Aprutino, coniugato con prole, contadino.
La mattina del quattro dicembre, io stavo nella mia casa, quando sentii abbaiare i cani, e siccome essi mordono, mi affacciai sulla porta della casa per vedere chi era. Appena giunto sulla porta sentii una fucilata, e dopo ne sentii altre, in questo tempo venne da me anche mio fratello Zopito, col quale andai verso la strada per vedere che cosa era. Fatti pochi passi, vedemmo venire incontro di noi Tommaso Ursini e Giuseppe Parrozzelli, i quali dissero che sulla strada quattro persone erano scese da una carrozza ove stavano, e si erano messe a tirar fucilate contro altre persone che non avevan potuto vedere. Poco dopo giunsero i quattro individui raccontati dall’Ursini e dal Parrozzelli, e chiesero armi e munizioni, mio fratello Zopito diede loro l’unico fucile che sta in nostra casa, il quale è inservibile per aver rotta la bacchetta. Abbiamo un’altro fucile che ha la canna rotta, ed è per conseguenza che io non lo conto. Essi raccontarono che nella strada erano stati assaltati dal Cuculetto, il quale avea sparato contro di loro colpi di fucile e di pistola, ed essi avevan tirato contro lui chi colpi di fucile e chi di revolver, coi quali credevano di averlo ferito. Arrivati alla masseria, mio fratello Zopito consegnò al più giovane dei quattro, che è Rosario Cantagallo, un po’ di polvere e due palle, perché caricasse il suo fucile a due colpi; egli prese la polvere e le palle, ma non gli riuscì di caricare il fucile da quanto tremasse dalla paura avuta, anche se io cercai d’incoraggiarlo, ma egli mi disse che non poteva caricare perché non ci azzeccava più. Dopo questo, Zopito mio fratello fu abbracciato da Domenico Cantagallo, e Rosario abbracciò me, e si raccomandarono che non li avessimo abbandonati, perché altrimenti il Cuculetto li avrebbe uccisi come aveva promesso. Li conducemmo nella nostra casa, li consolammo come meglio ci fu possibile, e gli dicemmo che potevano star sicuri.
Non è vero che fossimo richiesti per arrestare il Cuculetto, e non sentii che i quattro sopra commentati individui, offrivano la mancia a chi avvisava dell’accaduto i Carabinieri di Loreto. Il fatto sta come sopra gli ho raccontato, ed in questo tempo passò dalla strada una donna ed un ragazzo, e fu loro domandato se ci era alcuno sulla strada, avendosi risposto di no, il Fasoli scese sulla strada insieme al vetturino, e noi rimanemmo alla masseria insieme con Rosario e Domenico Cantagallo, i quali non vollero che scendessimo sulla strada. Poco dopo tornò il Fasoli nella masseria colla carrozza e disse che nulla gli mancava”.

“Sono Zopito de Lellis, fu Silvestro, anni 33, contadino di Loreto Aprutino, ammogliato con figli.
La mattina del quattro Dicembre corrente, verso le otto antimeridiane, io stavo nella stalla a levare del concime quando venne mio fratello in compagnia di Tommaso Ursini e Giuseppe Parrozzelli, i quali mi dissero che sulla vicina strada avevano sentito sparare dei colpi di fucile. Poco dopo comparvero quattro persone, le quali mi dissero che erano stati assaliti sulla strada da Cuculetto col quale avevano fatto delle fucilate. Mi chiesero delle armi e della polvere e munizione, io offrii loro un fucile che era inservibile perché guasto, della polvere e due palle da un’oncia, il fucile non lo presero. Mi chiamarono che fossi andato con loro a prestagli man forte, io rincasai, perché dubitai che invece di un assassino fossero di più. Poi scendemmo tutti insieme nella strada, e vedendo che non vi era alcuno, prendemmo la roba che era nella carrozza per salire alla masseria, ma quei quattro individui, invece di risalire alla masseria mia, vollero venire a Loreto.
Il luogo dove avvenne il conflitto è distante dalla mia casa quanto è distante la via di questo paese chiamata Bajo dalla fonte di S. Nicola. Non sentii il rumore delle fucilate, perché come ho detto di sopra, io ero nella stalla. E’ vero che quei quattro individui che ci dissero assaliti dal Cuculetto mi offrirono dieci lire in regalo a chi fosse andato a Loreto a dare avviso ai Carabinieri dell’accaduto; nessuno però volle andare. Io parimenti non volli andare, perché avendo moglie e figli, temevo che m’incogliesse qualche conseguenza.
Né prima, né dopo che mi affacciai al colle che dà sulla strada ove avvenne il conflitto, ebbi verso di vedere alcuna persona”.

“Sono Michele de Lellis, fu Silvestro, anni 35, domiciliato in Loreto Aprutino, ammogliato senza figli, contadino.
Il quattro dicembre ero malato, quando vennero alla masseria Tommaso Ursini e Giuseppe Parrozzelli, i quali raccontarono che sulla pubblica strada quattro individui erano stati assaltati e facevano a fucilate. Mi pregarono di alzarmi dal letto, ed infatti io mi alzai. Poco dopo giunsero alla masseria l’Orefice, Domenico e Rosario Cantagallo di Penne, i quali dissero che sulla pubblica via erano stati assaltati dal Cuculetto e che avevano fatto a fucilate con lui. L’Orefice domandò che gli si fosse dato della polvere e delle munizioni ed un fucile; gli fu data la polvere e le palle, ma non il fucile perché aveva la bacchetta rotta. Fatto questo, e sentendomi molto male, non ritornai al letto, ma mi misi al canto del fuoco, e non so altro”.

“Sono Tommaso Ursini, fu Vincenzo, di anni 30, domiciliato in Loreto Aprutino, contadino, celibe.
Il dì quattro del corrente dicembre, io andavo la mattina presto a Penne per miei affari. Passò una carrozza sulla quale stavano quattro persone compreso il vetturino, io mi tirai da parte per farla passare. Quando codesta carrozza fu distante da me un cento passi, sentii delle fucilate, e videli che quelli che stavano sulla carrozza erano difesi, e tiravano di fucile e di revolver in un angolo della strada, ove a quando sembra doveva essere qualcuno contro il quale tiravano, ma che io però non vedevo. Preso dalla paura fuggii verso la masseria di Antonio de Lellis, ove appena giunto raccontai quanto sopra ho raccontato. Poco dopo arrivarono ancora quelli che aveva veduti sulla carrozza. Essi domandarono ad Antonio de Lellis armi e munizioni da caricarlo, ed Antonio disse loro che poteva dargli l’unico fucile che possedeva, ma che però era rotto e inservibile, e gli dette un po’ di polvere e due palle che non furono prese. Zopito de Lellis accomodò il fucile a due canne che portava uno di quelli che stava sulla carrozza.
Non è vero che quei quattro individui sopra domandassero man forte per arrestare quello che li aveva assaltati; tanto è vero che essi non vollero uscire dalla masseria per andare a riprendersi sulla strada la carrozza e la roba che vi avevano lasciato, finchè non videro passare dalla strada medesima un uomo e una donna. Non so se sia vero che essi offrirono la mancia a chi fosse andato a Loreto a dare avviso dell’accaduto ai Carabinieri, perché non sentii parlarne.
Non so altro, perché andai a Penne, lasciandoli tutti nella masseria del de Lellis”.

“Sono Giuseppe Marronzelli e non Parrozzelli, di Saverio, di anni 29, contadino di Loreto Aprutino.
Il quattro dicembre io andavo a Penne insieme con Tommaso Ursini.
Poco distante dalla svolta di Fiorano fummo raggiunti da una carrozza che portava quattro persone compreso il vetturino. Io mi tirai da una parte della strada e feci posto alla carrozza perché passasse. Appena la carrozza fu giunta alla svolta, sentii colpi di fucile, e vidi che tutte quattro le persone sopra raccontate erano scese dalla carrozza e tiravano colpi di fucile e di revolver contro altre persone che dovevano essere nell’angolo della strada che non potei vedere. Fui preso dalla paura e fuggii alla masseria di Zopito de Lellis. Poco dopo giunsero anche quei quattro che stavano sulla carrozza, che raccontarono che erano stati assaltati dal Cuculetto col quale avevano fatto a fucilate. Chiesero ad Antonio de Lellis polvere e munizioni ed il fucile; il de Lellis disse che non gli poteva dare il fucile perché era rotto, consegnò però al più giovane dei quattro la polvere e le palle. Questi tremava oltremodo per la paura avuta, e riuscì a caricare il fucile a stento. L’orefice disse a Tommaso Ursini che se fosse andato a Loreto a chiamare la forza, gli avrebbe dato la mancia. Ursini però rispose che non poteva perché doveva andare a Penne, e difatti andò a Penne come ci andai anch’io. Non è vero che l’Orefice abbia chiesto a noi aiuto per andare ad arrestare Cuculetto”.

“Sono Francesco Antico, fu Pantalone, di anni 33, contadino di Loreto Aprutino, coniugato senza prole.
Il giorno quattro dicembre andante, io stavo a lavorare qui in Loreto al trappeto del mio padrone, per conseguenza non posso dirle nulla relativamente a quanto ella mi domanda. Ho sentito dire che i tre individui da lei rammentati, furono aggrediti il quattro dicembre passato da Emidio D’Angelo detto Cuculetto, ma come ho detto di sopra io non ci ho parlato.
Io non ho mai veduto il D’Angelo, ma quelli di casa mia hanno avuto luogo di vederlo aggirarsi nella contrada in cui abito; credo che lo stesso passò anche il giorno innanzi del quattro Dicembre, ma non posso dirglielo di preciso. In casa mia non si è mai presentato, e non so se sia presentato ad altri”.

“Sono Stefano De Gregorio, fu Francesco, di anni 47, domiciliato a Loreto Aprutino, Guardiafilo del Telegrafo, ammogliato con prole.
La mattina del quattro Dicembre, io andavo a Penne per affari del mio Ufficio. Quando giunsi alla svolta di Fiorano incontrai quattro persone che erano intorno ad una carrozza; seppi che essi erano un certo Fasoli, Cantagallo e il vetturino, e mi dissero che poco prima avevano fatto alle schioppettate col Cuculetto e che dubitavano di averlo ferito  perché loro parve che cadesse. Il Fasoli ed il più giovane dei Cantagallo erano armati, il primo di revolver ed il secondo di fucile. Saputo questo seguitai il mio viaggio per Penne. Fatti pochi passi notai sulla collina di faccia un uomo che fuggiva, ed ogni tanto si rivoltava dalla parte ove stavano le quattro persone da me sopra nominate. A cagione della lontananza, non potei distinguere chi fosse quell’uomo, né so se fosse armato, ma però ritengo che egli fosse il Cuculetto. Difatti se fosse stata un’altra persona, non avrebbe avuto luogo di rivoltarsi, né di ammirare quelle persone colle quali aveva combattuto”.

Intanto, sul fronte pennese, le autorità cercarono di fare terra bruciata attorno a Cuculetto. Pur di catturarlo vennero messe in atto le azioni più disparate, quali, l’arresto di familiari ed amici e la creazione di una rete di confidenti.
Questi ultimi risultarono infatti determinanti ai fini della cattura del brigante.
Così, nell’Ufficio della Sotto Prefettura di Penne, veniva redatto il seguente verbale:
“L’anno mille ottocento settantatre nel giorno cinque del mese di Dicembre, innanzi a noi, Vito Perfetti Ufficiale di P.S. in missione, si è presentato il contadino Toppeta Tommaso, figlio di Antonio, di anni 36 nato e domiciliato in Penne, confidente adibito per procurare lo arresto del bandito D’Angelo Emidio, il quale ci ha dichiarato che trovandosi ieri nelle ore pomeridiane in contrada detta Campetto per fare della legna, si  incontrò col nominato bandito Emidio D’Angelo, il quale era armato di fucile a due colpi, revolver ed un pugnale, nonché di un coltello a serratoio.
Dopo scambiatesi l’un l’altro delle parole di riconoscenza, il D’Angelo gli disse che la mattina in contrada Fiorano aveva tentato di aggredire una carrozza contro la quale aveva tirato sette colpi, ma che retrocedette a vista della opposizione incontrata. Indi gli dichiarò che era in cerca di una guida fedele, non avendo più i propri parenti, onde potere entrare in Penne vestito da donna allo scopo di fare una visita al Sotto Prefetto, nascondendo sotto l’abito di donna il revolver ed il pugnale, onde così uccidere il Sotto Prefetto a causa dello impegno di costui spiegato per il di lui arresto, ed avendo fatto arrestare tutti i di lui parenti, e tolta così di avere guide di fiducia. Soggiunse anche che aveva intenzione di fare un’altra visita, ancora vestito da donna, al nipote del defunto Sacerdote Simone Perrotti, allo scopo di farsi consegnare lire 4000 che gli aveva promesso quando fu ricattato, e che tuttavia non gli aveva dato.
A questo discorso il dichiarante Toppeta, gli rispose chegli  sarebbe stato da guida; al che il D’Angelo replicò che se ne sarebbe avvalso volentieri a condizione di essere fedele, e lasciandogli un pugnale per conservarlo, gli dichiarò che tra due, tre giorni, sarebbe andato a trovarlo nella masseria dello stesso Toppeta sita in contrada Campetto, collo scopo di riprendersi il pugnale e di combinare i due affari, cioè di entrare in Penne vestito da donna per uccidere il Sotto Prefetto, e farsi consegnare le lire 4000 dal nipote del defunto Perrotti.

Il Sotto Prefetto dispose immediatamente un servizio atto a far cadere Cuculetto nelle maglie della giustizia.
E programmò quanto segue:
 “… un servizio di appostamento in casa del contadino Tommaso Toppeta in contrada Campetto, onde attendere la venuta del bandito D’Angelo Emidio, ed assicurarlo alla giustizia. Essendo stato costui questa notte arrestato in un’altra casa dove stavano in appostamento i Reali Carabinieri travestiti, abbiamo fatto venire alla nostra presenza il Toppeta Tommaso, ed avendolo analogamente richiesto, ci ha consegnato il pugnale che il giorno cinque aveva ricevuto dal bandito D’Angelo come risulta dalle prime dichiarazioni, che per nostro ordine ha tenuto conservato nella stessa casa ove noi abbiamo fatto lo appostamento.
Detto pugnale che ci ha esibito e che noi abbiamo sequestrato è della lunghezza di 25 centimetri, con manico di legno bianco, annerito, con guardamano di ferro e con fodero di latta. La lamina è di acciaio con punta acuminata a due tagli”.

Tommaso Toppeta, in merito a questa vicenda, dichiarò al Pretore quanto segue:
“Sono Tommaso Toppeta alias Cazzocchiaro, di Antonio, di anni 36, contadino di Penne.
Richiesto da questo Signor Sottoprefetto, io ho promesso i miei servigi per far arrestare Emidio D’Angelo. Costui lo vidi per la prima ed unica volta il quattro di questo mese nella contrada Campetto. Era sbigottito, e portava il fucile a bilancia, fuggendo come se lo inseguissero. Mi riconobbe e si fermò meco a discorrere. Io avevo inteso poco prima delle fucilate e perciò lo richiesi dell’accaduto. Egli mi fece vedere una carrozza ferma sulla discesa di Fiorano e disse – vengo dal fare a schioppettate, ho sparato il due botte, e cinque colpi di revolver, il sesto non ha preso fuoco -. Volle poi che lo seguissi, dopo avermi fatto promettere che gli avrei tenuto fede. Strada facendo mi raccontò che il Sottoprefetto gli aveva fatto arrestare tutta la famiglia, e voleva vendicarsene. Nello scopo di ottenerne lo arresto finsi di volerlo assecondare nel progetto che faceva di vestirsi da donna per avvicinare il Sottoprefetto e D. Massimo Perrotti, ed uccidere ambedue. In questa intesa, mi consegnò uno stile con fodera di latta, perché glielo custodissi fino al giorno di mettere in atto il progetto.
Tal cosa la riferii al Signor Sottoprefetto, il quale il giorno sette andante mese mandò tre guardie di P.S. in casa mia per l’eventualità che mi si presentasse il D’Angelo. Le guardie stettero meco tutto quel giorno e la notte successiva. La mattina dopo se ne andarono perché ebbero la notizia che il D’Angelo era stato arrestato. Io consegnai loro lo stile di cui ho parlato.
Non mi consta che il D’Angelo avesse un compagno.
Mostrato al nominato lo stile che andava unito al verbale del 5 Dicembre della P.S., e domandato che ebbe prestato il giuramento nella forma di rito.
E’ questo lo stile datomi in custodia da Emidio D’Angelo. Lo consegnai agli agenti della P.S. fin dal giorno cinque”

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