Cuculetto il brigante di Penne

L’AGGRESSIONE AL FATTORE DEL DUCA GAUDIOSI

Da parte delle forze dell’ordine, le indagini si fecero sempre più serrate per catturare gli evasi. Dopo il sequestro del Canonico, pare che Andrea Ursi, dopo essere stato afflitto per alcuni giorni da un forte malessere, attorno al 10 novembre, abbandonò il compagno di malversazione Cuculetto, per indirizzarsi verso il suo paese natio in provincia di Salerno.
Emidio D’Angelo, frattanto continuò da solo ad arricchire il suo curriculum criminale.
Il Delegato di Pubblica Sicurezza della Sotto-Prefettura del Circondario di Penne, si trovò a registrare un altro grave atto delinquenziale commesso da Cuculetto, e così scrisse:
“Pasquale Beati, fattore del Duca Gaudiosi di Penne, residente a Montebello, il giorno sedici Novembre, per incarico del suo padrone, recavasi a Penne a portare un fucile a due canne a questo Signore Sottoprefetto che gliene fece richiesta per armare le guardie di Pubblica Sicurezza.
Giunto sotto il Camposanto di questa città, circa il mezzogiorno, al punto della strada rotabile ove esistono diversi pini, fece l’incontro di cinque persone, di cui riconobbe soltanto Angelomassimo Buccella detto Sciabolone, contadino di Penne, e gli offrì una presa di tabacco. Dopo scambiata qualche parola, si separano subito proseguendo ognuno la propria strada, eccettuato uno degli sconosciuti retrocedette col Beati, il quale via facendo lo interrogava di dove fosse, e questi disse che era di Bisenti.
Quando furono giunti sotto l’Orto agrario, lo sconosciuto si guardò attorno, e dato di mano al fucile del Beati, gli intimò di consegnarglielo, minacciandolo con uno stile alla mano. Il Beati senza opporre resistenza consegnò il fucile, e dopo anche una borsa di pelle da caccia contenente una fiaschetta di legno con poca munizione di polvere e pallini. Dopo ciò il grassatore gl’intimò di non parlare, altrimenti lo avrebbe scannato se lo incontrava, e quindi si allontanò fuggiasco per i campi.
Dalle descrizioni che il Beati fece dello sconosciuto malfattore risultò essere il Cuculetto, cioè Emidio D’Angelo, quello stesso che pochi giorni innanzi commise il ricatto in persona del Canonico Simone Perrotti. Per tal fatto, venuto subito a conoscenza della P.S., si procedette allo arresto di questi contadini, ai quali era associato il Cuculo.
Costoro, liquidati per Fabiano Solaro, Donatoantonio D’Addazio, Luigi Costantini di Antonio, Angelomassimo Buccella alias Sciabolone, unanimemente deposero nei loro interrogatori, che il giorno sedici scorso Novembre, dopo ascoltata l’ultima messa, assieme ritornavano in campagna, e quando furono alla croce fuori il boschetto del Barone Forcella, un contadino sconosciuto che fumava un sigaro, dopo aver diretto al Buccella le seguenti parole – addio sciampagnone – li precedette camminando a lesti passi, e li aspettò giù verso la voltata della via nuova. Quindi lo sconosciuto disse al Buccella che doveva dagli una cosa, e cacciato di tasca un pezzo di carta vi scrisse col lapis diverse parole e lo consegnò al Buccella dicendogli questo lo devi dare allo scrivano del tuo padrone / Arnoldo Guglielmi / e gli dirai che glielo manda  Emidio Cuculo. Quindi si unì con loro proseguendo la strada verso il Ponte S. Antonio.
Più in giù avvenne l’incontro di Pasquale Beati, ed il Cuculo senza profferir parola di addio  ai quattro contadini se ne tornò col Beati al quale poco dopo depredò il fucile e la borsa da caccia.
Il biglietto fu presentato dallo Sciabolone, e contiene una minaccia al Signor Arnoldo Guglielmi perché s‘impicciava dei fatti del Cuculo, chiedendo di risapere chi gli aveva fornito una camicia.
Per questo fatto il Guglielmi non intese querelare.
I quattro contadini affermavano di non essere in relazioni col Coculo che neppure conoscevano.
Se egli stesso non si palesava per tale, e che non essendosi trovati presenti alla grassazione in danno del Beati, non prestarono alcun aiuto al Cuculo, e quindi non possono ritenersi complici.
L’istruttoria non offre elementi di reità sul conto loro”.

Sul nuovo caso, il giorno 17 Novembre 1873, il Delegato Capo della Sotto-Prefettura rimise al Pretore di Penne il seguente rapporto:
“Da questo Signor Sottoprefetto si era richiesto a diversi proprietari di qui, alcuni fucili da caccia allo scopo di eseguire dei riservati e segreti servizii per assicurare quanto prima alla giustizia gli evasi D’Angelo ed Ursi. Ciò stante, il Signor Duca Gaudiosi Giovanni dimorante a Montebello, ieri per mezzo del suo fattore Beati Pasquale, fu Pietro, d’anni 47, nato a S. Elpidio a Mare e qui domiciliato, spediva a questo Sottoprefetto, un fucile a due colpi.
Al Beati lungo la via dei Zoccolanti e precisamente quella che mena al Ponte S. Antonio s’imbattè in cinque persone delle quali conosceva soltanto certo Angelo Massimo Buccella alias Sciabolone.
Quattro viandanti fra cui il Buccella seguitarono la via che mena al Ponte S. Antonio e l’altro incognito si associò amichevolmente, ma poscia giunti ad una certa distanza, lo sconosciuto che era l’evaso D’Angelo Emidio, aggredì il Beati togliendogli violentemente il fucile.
Stante la dichiarazione del Beati e che cioè i quattro individui che trovavansi col D’Angelo facilitarono costui a commettere l’aggressione in parola, il sottoscritto nell’interesse della giustizia e della tranquillità pubblica minacciata dal D’Angelo ai quali i villani per interesse o per timore prestano ausilio e ricovero, credette necessario ed opportuno arrestare ieri stesso i quattro individui che dalle indagini fatte si riuscì a sapere essere nominati Buccella Angelo Massimo, Costantini Luigi, Solera Fabiano, D’Addazio Donatantonio, i quali tutti complici dell’aggressione in parola si pongono a disposizione della S. V. Ill.ma rimettendole i relativi atti”.

denunciaQuello che segue è il racconto che Pasquale Beati fece al Pretore di Penne nella sua denuncia dell’aggressione subita:
“Sono Pasquale Beati fu Pietro, di anni 48, di S. Elpidio / Marche / fattore del Duca Gaudiosi domiciliato in Penne.
Ieri il Duca Gaudiosi, che trovasi in villeggiatura a Montebello mi diede il suo fucile da caccia a due canne ed una lettera per questo Signor Sottoprefetto, che gli aveva chiesto quel fucile per armarne le guardie di Pubblica Sicurezza. Giunto sotto il Camposanto di questa città, circa il mezzogiorno, al punto della strada rotabile, ove stanno diversi pini, feci l’incontro di cinque persone, di cui riconobbi soltanto Angelomassimo detto Sciabolone, contadino di Penne, che tiene le terre in confine con quelle del Duca. Questi mi salutò, e mi chiese una presa di tabacco da naso, anzi per dir meglio, gliela offersi io stesso. Ci separammo subito continuando ciascuno la propria strada, eccettuato uno degli sconosciuti che retrocedette con me, senza dir niente ai compagni.
Domandato per qual motivo se ne tornasse indietro, disse che andava cogli altri a caso. Richiesto di qual paese era, rispose – sono di Bisenti. Mentre io gli ricordavo alcune conoscenze di quel paese, ed eravamo giunti in un luogo dove non si vedeva alcuno, poco sotto l’orto agrario, lo sconosciuto, si guardò attorno, poi dato di mano al mio fucile mi intimò di consegnarglielo minacciandomi al tempo stesso con un lungo stile. Io non feci resistenza, perché come vedete, sono uomo debole, e perché sapevo che una delle canne del fucile era vuota e l’altra non aveva il tubetto. Dopo l’arma consegnai anche una valigetta di pelle a tracolla, contenente una fiaschetta di stagno pel vino, della capacità di mezzo litro, e due fiaschette di legno con poca munizione di polvere e pallini. Dopo questo il grassatore m’intimò di non parlare, altrimenti mi avrebbe scannato se m’incontrava; e, saltato il fosso di scolo della strada, fuggì a corsa attraverso campi e vigne passando a poca distanza da due masserie, e lo perdetti di vista. Mi accorsi dopo che ero ferito nel dito mignolo della mano sinistra, il che non so dire come possa essere avvenuto. Credo però d’essere stato offeso dallo stile del malfattore, perché io non avevo in dosso cosa tagliente. Il valore degli oggetti depredati è di lire 40:00.
Appena giunto in paese narrai l’accaduto al Sottoprefetto.
Il grassatore era un giovane di oltre trenta anni, di giusta statura, poco complesso, con barba nera rasata da quindici o venti giorni. Vestiva panni di lana alla contadina in buono stato, cappotto di lana nera, calzoni lunghi, gilè più chiaro della giacca.
Io non ho motivo di sospettare del Sciabolone e dei suoi compagni. Certo però essi avrebbero dovuto avvertirmi con qualche cenno della qualità della persona che retrocedette meco.
Mi parve non avessero con lui alcuna amicizia perché nello staccarsene il malfattore neppure li salutò. Quando li incontrai, questi taceva e tenevasi quasi in disparte a fumare. Non mi nacque alcun sospetto per la circostanza d’averlo veduto insieme al suddetto mio conoscente.
Domando la punizione del colpevole, che la voce pubblica designa nella persona di certo Emidio D’Angelo detto Cuculo”.

 

Lo stesso giorno dell’arresto, i quattro contadini vennero interrogati dal Pretore, al quale rispettivamente dichiararono:
“Sono Fabiano Solaro, d’ignoti, allevato da Nicola di Giosafatte, di anni 19, contadino di Penne. Impossidente, illetterato, non ho fatto il militare, e non sono stato mai processato, né carcerato.
Ieri dopo aver sentito la messa, ritornando all’abitazione in campagna verso mezzogiorno cogli altri campagnoli Angelomassimo Buccella alias Sciabolone, Luigi Costantini detto Mellone, e Donatantonio D’Addazio soprannominato Marretti, percorrendo la strada rotabile. All’estremità del viale di S. Francesco, fuori la villa del Barone Forcella Abbate stava un contadino che fumava un sigaro, il quale rivoltosi al Buccella disse – Addio sciampagnone – e subito sorpassandoci si avvio al basso sempre per la strada verso la cappella di S. Antonio. Qui si abboccò con un contadino, che non riconobbi, e che si ritirò subito, indi ci attese. Come gli fummo vicini disse ancora al Buccella – figlio di Sciabolone aspetta che ti devo dare una cosa – e levato di tasca un pezzo di carta, vi scrisse col lapis alcune parole, indi lo consegnò al Buccella dicendo – questo lo consegnerai allo scrivano del tuo padrone Raffaele De Simone -. Il Buccella dapprima si negava poi ricevette il biglietto. Lo sconosciuto palesò di essere Emidio D’Angelo alias Cuculo, e fece strada con noi senza discorrere. Solo a domanda del Buccella se lo scritto lo doveva consegnare subito, rispose che ciò poteva fare a suo comodo. Più sotto, alla ripiegatura della strada, ove sorgono a sinistra alcuni pini facemmo incontro del fattore del Duca Gaudiosi che portava un fucile, e che si trattenne un momento  a salutare il Buccella, poi si riprese in cammino. Il Cuculo, senza neppure salutarci ritornò con lui, ed io ignoro quello che in seguito è avvenuto, perché uscirono dalla nostra vista.
La sera stessa di ieri fui arrestato dalle guardie del Delegato di P.S.
Da quanto ho detto si rileva che io non ho fatto alcun male.
Il Cuculo neppure lo conosco. Abbandono la mia discolpa alle ricerche della giustizia.
Ignoro se il Buccella conoscesse il D’Angelo. Gli pareva e non gli pareva, come egli disse, di averlo raffigurato in quello individuo”.

“Sono Donatantonio D’Addazio, di Camillo, di anni 30, contadino di Penne, detto Marretti, ammogliato con Annadomenica Costantini, impossidente, illetterato, non ho fatto il militare e non sono stato mai carcerato, né processato.
Ieri dopo la messa, verso il mezzogiorno, ritornai in campagna insieme a Luigi Costantini, Angelomassimo Buccella alias Sciabolone, e Fabiano Solaro. Alla croce fuori il boschetto del Barone Forcella Abbate stava un contadino a me sconosciuto che fumava un sigaro, e che dopo avere diretto al Buccella queste parole – Addio sciampagnone – si pose in cammino avanti di noi a lesti passi. Più sotto lo vidi discorrere sulla strada con Nicola Fiorentini. Egli ci aspettò nel piano della masseria di Assergio, e chiamato il Buccella disse che doveva dargli una cosa. Estrasse poi di tasca un pezzo di carta, e vi scrisse col lapis alcune parole, poi lo consegnò al Buccella dicendo – questo lo consegnerai allo scrivano del tuo padrone D. Raffaele Simone, che glielo manda Emidio di Cuculo -. Buccella si rifiutava, ma poi accettò lo scritto, e strada facendo col D’Angelo gli domandò se doveva tornarsene subito a consegnarlo, al che quegli rispose, facesse a suo comodo.
Poco dopo incontrammo Pasquale Beati fattore del Duca Gaudiosi, il quale portava un fucile a due canne e diede una presa di tabacco al Buccella amico suo, continuando poscia la sua strada. Il D’Angelo senza salutarci retrocedette con lui. Ciò che avvenne dopo io non lo so.
La sera fui arrestato, ma io non ho fatto alcun male. La mia discolpa l’abbandono alle ricerche della giustizia. Io sono di Loreto e non conoscevo il D’Angelo prima che egli si annunziasse per tale. Anche il Buccella pare che non lo conoscesse, perché allontanatosi il D’Angelo disse che non lo aveva raffigurato.
Il D’Angelo portava un bastone, e sul fianco una pistola. E’ uomo di media età, di giusta statura e corporatura. Ha la barba nera folta rasata da molti giorni. Veste abiti oscuri in buono stato da contadino, e cappello nero”.

“Sono Luigi Costantini, di Antonio, di anni 29, contadino di Penne, impossidente, illetterato, non ho fatto il militare, e non sono stato mai carcerato, né processato.
Ieri dopo la messa ritornavo in campagna per la strada nuova, circa il mezzogiorno, insieme a Fabiano Solaro, Angelomassimo Buccella e Donatantonio D’Addazio. All’estremità del viale di S. Francesco, ossia al boschetto del Barone Forcella Abbate, stava un contadino che fumava un sigaro. Costui ora ci passava avanti ed ora restava indietro discorrendo con tutti quelli che incontrava, e fra gli altri con Nicola Fiorentini. Giunti che noi fummo in faccia alla masseria di Assergio sotto l’orto agrario, quell’uomo rivolse così la parola al Buccella – figlio di Sciabolone senti qua – e scrisse un biglietto col lapis, che consegnò al Buccella, soggiungendo – questo lo porterai allo scrivano di D. Raffaele Simone che glielo manda Emidio Cuculo -. Sciabolone non voleva riceverlo ma poi si arrese e domandò se doveva portarlo subito. Rispose quegli che facesse a suo comodo. Venne quindi con noi senza discorrere fino alla voltata della strada dove sorgono alcuni pini. Quivi c’incontrammo con Pasquale Beati, il quale portava un fucile, ed offrì una presa di tabacco al Buccella suo conoscente, continuando poscia il suo cammino. Cuculo senza salutarci lo seguì, e noi li perdemmo di vista. Cosa sia avvenuto in seguito non lo so. La sera del giorno stesso fui arrestato, e là per là, per timore di qualche danno ho ammesso l’incontro col Cuculo e col Beati, e negato il reato.
Il Cuculo io non lo conoscevo anche prima che fosse carcerato. Buccella cammin facendo, quando quel malfattore si era allontanato disse che neppure egli l’aveva raffigurato.
Da quanto sopra risulta che io non ho fatto alcun male. La mia discolpa l’affido alle ricerche della giustizia.
Il D’Angelo portava un bastone e non gli vidi altre armi. E’ un uomo di media età, di giusta statura e corporatura. Ha il viso piuttosto lungo, barba nera rasata da molti giorni, senza baffi. Veste buoni panni da contadino di colore scuro, e cappello di lana nera”.

“Sono Angelomassimo Buccella, alias Sciabolone, fu Antonio, di anni 38, contadino di Penne, impossidente illetterato, non ho fatto il militare, e non sono stato mai carcerato, né processato.
Ieri al mezzodì facendo ritorno dalla città in compagnia con Luigi Costantini, Fabiano Solaro, e Donatantonio D’Addazio vidi qua fuori alla croce, presso il boschetto sulla strada rotabile, un contadino che fumava un sigaro, e che mi apostrofò con queste parole – Addio sciampagnone -. Mi pareva e non mi pareva che fosse Emidio D’Angelo, col quale da ragazzo andavo a far legna, e lo dissi ai miei compagni. Egli ci passò innanzi a lesti passi e più sotto lo vidi discorrere con Nicola Fiorentini. Poi ci attese, e rivoltosi a me disse – fermati Sciabolone, che ti debbo dare un biglietto da consegnare - ed estratto di tasca un pezzo di carta, ci scrisse poche parole col lapis, e me lo diede, dicendo – tò, consegna questo a D. Arnoldino, lo scrivano del tuo padrone, che glielo manda Emidio D’Angelo -. Allora solo credetti di raffigurarlo bene. Risposi io, che non lo potevo servire, e che era un affare d’inezia, ond’io presi il biglietto, e domandai se dovevo tornarmene subito. No, no, fa il comodo tuo, rispose il D’Angelo, e ci venne appresso. Più oltre incontrammo Pasquale Beati, fattore del Duca Gaudiosi, con un fucile a due canne. Siccome mi è amico, mi diede una presa di tabacco, e tirò innanzi. Il D’Angelo senza neppure salutare retrocedette con lui. Quel che avvenne dopo non lo so.
Alla sera fui arrestato e non potei quindi consegnare il biglietto che qui vi presento, e del quale non conosco il contenuto, perocchè io non so leggere.
Al Delegato di P.S. non parlai del biglietto perché non me ne richiese, ed io tenevo di qualche danno col palesar la cosa, sebbene non avessi nulla a rimproverarmi. Accettai l’incarico dal D’Angelo credendo realmente che lo scritto nulla contenesse di compromettente, e per rendere un servigio al mio padrone.
Lascio alla giustizia l’appuramento dei fatti, che serviranno, ne son certo, a mia discolpa”.

“Sono Arnoldo Guglielmi di Concezio, di anni 27, segretario del Signor Raffaele de Simone di Penne.
Io avevo inteso dire che certo Giovanni de Fabritiis, contadino della contrada Planoianni, soccio di D. Raffaele de Simone, di cui sono il segretario, aveva somministrato una camicia a titolo di carità ad Emidio D’Angelo detto Cuculo che glie ne aveva fatto dimanda. Il de Fabritiis da me interrogato negò. Sento ora da Lei che il D’Angelo ha scritto un biglietto da consegnarsi a me, rimproverandomi e minacciandomi perché io m’impiccio dei fatti suoi.
Io non intendo querelare per così poca cosa”.

bigliettoIl testo contenuto nel biglietto:  

Al Signor D. Anodino cosa vuoi sapere chi mi a dato la camicia che ti vai tanto bicciano delle fatti miei badato a voi non avrete male sono D’Angelo Emiddio.

 

 

I quattro contadini testimoni involontari dello spiacevole “incontro” tra Cuculetto e Beati rimasero per due settimane detenuti nel carcere di Teramo, fino a quando i giudici del Tribunale Correzionale dello stesso luogo si pronunciarono in questo senso:
 “…Poiché nessuno indizio sin ora si è raccolto a carico dei quattro detenuti in rubrica, onde ritenerli complici della grassazione in danno di Pasquale Beati.
Poiché occorre di completarsi la istruzione.
Letto l’art. 199 del rito penale, non trova luogo a legittimare per ora l’arresto dei quattro detenuti in rubrica, ed ordina che i medesimi siano provvisoriamente scarcerati con obbligo di presentarsi ad ogni richiesta della giustizia; e che si compia la relativa istruzione.
Teramo, 2 Dicembre 1973”.

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